| Smeraldo aprì gli occhi, per la terza volta nella sua vita. Per la terza volta vide la luce penetrare nella sua dimora, anche se non sapeva cosa fosse. La vedeva, iniziava a comprenderne la differenza con il suo opposto, il buio. Non sapeva nemmeno che qualcuno, in un luogo ancora lontano, lo avesse chiamato Smeraldo. Conosceva solo tre cose, e due di queste erano la luce e il buio, che dominavano il suo universo. La luce era bellezza. Svelava la sua dimora, tutto diventava contorno, sfumatura, magia. Gli piaceva quel colore che lo circondava, l’oro, disseminato di sottili strisce rosse, che si ramificavano lungo la volta che racchiudeva l’universo. Una di queste era molto più grande delle altre, ed era l’unica che si insinuasse dentro di lui, in corrispondenza della pancia. Il buio era libertà. Dove tutto era nero, tutto poteva essere. Smeraldo poteva immaginare senza limiti, vedeva senza bisogno degli occhi. Il sapore del fluido che lo circondava era amplificato di dieci volte, la superficie morbida su cui era raggomitolato non lo soffocava, anzi. Si estendeva a dismisura, senza confini. Il buio poteva rendere reali i suoi sogni. Smeraldo sognava spesso, anche se non capiva ciò che vedeva. Nel sonno, c’erano cose che non esistevano nell’universo. Non sapeva darvi nome, ma quello che vedeva erano montagne coperte di neve, fiumi ghiacciati, alberi rigogliosi, scoiattoli, cinghiali, lupi, alci, tutte le creature che vivevano nella foresta al di sotto delle montagne. Nel sogno vedeva del fumo che gli usciva dalle narici, fuoco che gli divampava dalle fauci, gigantesche ali che gli si allungavano dal dorso e, una volta gettato nel vuoto, gli permettevano di volare sulla terra, osservando e giudicando tutto quello che vedeva sotto di sé, come un dio del cielo. Smeraldo, lo avrebbe chiamato sua madre. Drago, lo avrebbero chiamato tutti gli altri. La terza cosa che Smeraldo conosceva, per istinto e per esperienza pratica, era il calore. Quello all’interno della sua dimora, negli ultimi tempi, era aumentato molto. Una forza ignota, incontrollabile, lo spingeva a muoversi, lo rendeva irrequieto. I muscoli del suo corpo si contraevano, le ali membranose fremevano, il rostro urtava con insistenza la volta dell’universo. Finché, spinto da una furia inspiegabile e ancestrale, la colpì con più violenza che mai. La volta dell’universo crollò. Una luce, come mai non ne aveva conosciute, eruppe con una potenza inarrestabile, invadendo il mondo. L’aria gelida, del tutto sconosciuta, lo investì e raggelò i suoi sensi, in un’estasi mai provata prima. Gli occhi videro, per la prima volta davvero. Ciò che videro fu uno sguardo rosso, fiammeggiante, occhi così simili ai suoi, con grandi fessure nere talmente profonde da sembrare varchi verso nuovi, inesplorati universi. Tutto il resto era di un verde brillante, spruzzato qua e là di bianca neve fresca. Il primo suono che raggiunse le sue orecchie, sussurrato, rivelava il suo nome. Anche se non poteva ancora saperlo.
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