Relazione extraconiugale
Il guerriero planò dolcemente ai piedi della bassa collina che s’innalzava dalla sponda del vorticoso fiume Istro. I calzari alati dono delle Ninfe lo avevano portato da Argo l’argentea, la sua città, sino ai confini occidentali del mondo, nelle lande abitate dai mitici Iperborei. Terre ubertose dove un tiepido e limpido sole primaverile brilla per sei mesi l’anno. In lontananza, le aspre cime dei monti Rifei risuonavano del fragore delle alte cascate dell’Eridano.
Il giovane in armatura imboccò uno stretto sentiero che saliva lungo il fianco erto del colle. Nonostante la fitta vegetazione, nessun canto di uccelli rallegrava l’aria. Statue di uomini e animali ornavano i bordi del viottolo, alcune vecchie e corrose dalle intemperie, altre, invece, così lucide da sembrare appena uscite dal laboratorio dell’artista. Sculture accomunate da un’insolita profusione di minuzie e dettagli e, soprattutto, da un’espressione di raggelato terrore sulle facce o i grugni.
Ansimando leggermente giunse all’ingresso di una spelonca. Entrò con cautela, abituando gli occhi alla tenue luminosità fornita da torce infisse nelle pareti di roccia. Dopo qualche istante all’eco lieve dei suoi passi si sovrapposero un sibilo acuto e il sordo fruscio di una panoplia di scaglie cornee che strisciavano sulla pietra. S’immobilizzò e strinse le palpebre.
Un’interminabile coda serpentina si avvolse attorno alle gambe del guerriero e due braccia flessuose lo accolsero in un gelido abbraccio, ma fu una bocca bollente che si suggellò con passione alle sue labbra, bevendone l’anima con i guizzi di un’avida lingua biforcuta.
Disteso nudo sul giaciglio di morbida lana, Perseo contemplò con lo sguardo dell’amante appagato il viso della sua adorata distorto nel lucido riflesso dello scudo di bronzo. «Non possiamo continuare a vederci così. Mia moglie Andromeda comincia a sospettare qualcosa» sospirò con una punta di amara tristezza nella voce.
L’immagine del volto dolce e sereno di lei si rabbuiò mentre le verdi serpi della chioma si agitavano in un impeto di rabbia istintiva. «Lo so, amore mio» rispose Medusa, raggomitolando sul letto le spire del suo corpo. «Ci rifletto ogni giorno, ma non trovo via d’uscita, tranne…».
«Non ci pensare nemmeno! Non potrei mai farlo: ti amo troppo!» la interruppe il giovane.
«Ma in quel modo sarei comunque al tuo fianco» continuò imperterrita la donna accarezzandogli la schiena muscolosa.
«No e poi no!» ribadì deciso Perseo. «Piuttosto, le tue deliziose sorelle non conoscono qualche mostro marino che gradirebbe pasteggiare con una noiosa ma tenera principessa?».
Un brillio di affettuosa malizia scintillò nelle iridi giallognole di Medusa. «Posso provare a chiederlo: tentare non nuoce… Ora basta parlare, però, mio gagliardo amante: è di nuovo tempo di celebrare i riti gioiosi di Afrodite».
Il guerriero non si fece ripetere l’invito appassionato. Si calò sugli occhi la benda nera e, voltatosi, si unì alla creatura in un profondo amplesso.