| Era la sera del 21 Novembre 1963, stando ai quotidiani locali, e la capsula mi aveva espulso davanti a una bettola di Night Club a Dallas, in Texas. Avrei voluto essere lì solo per farmi un goccio o spassarmela, invece dovevo compiere una missione. Entrai nel locale e mi avvicinai al bancone per ordinare, il barista mi fissava in cagnesco e aveva atteggiamenti da psicopatico. - Che vuoi da bere, bello? - Una miscela di CH3CH2OH, grazie. - Cosa? Se hai voglia di prendermi per il culo smamma, che non è posto per te questo. Capito? - Okay. Una vodka andrà bene. Una rapida occhiata per studiare l'area: diverse ballerine seminude si agitavano sul palco riuscendo ad attirare l'attenzione del pubblico, mentre io pensavo solo al bersaglio. Estrassi dalla tasca del cappotto la sua foto. Un uomo scialbo. Dietro, a chiare lettere, il nome: Lee Harvey Oswald. Poco dopo lo vidi entrare nel locale. Impossibile sbagliare, era proprio lui. Si impossessò di uno sgabello, ordinò da bere e andò avanti per un po', finché a tarda serata quasi non si reggeva più in piedi. A quel punto mi avvicinai. - Ehi amico, non vorrai metterti in strada in questo stato, vero? - Be', che ti frega? Sono in grado di guidare senza problemi... e poi chi ti conosce? Potresti essere un malintenzionato! - con una risata pregna d'alcool mi alitò sul viso. - No, sono solo uno a cui importa che la città sia sicura. Forza usciamo. Ti riporto a casa. Per stasera hai bevuto abbastanza. Quell'ammasso di feccia si fece trascinare fuori senza opporre troppa resistenza e il tipo al bancone, un certo Jack Ruby come seppi in seguito, ne sembrò sollevato. Dietro il locale, in un vicolo buio, freddai Oswald con un colpo di pistola all'addome e gettai l'arma nel cassonetto che era lì di fronte, proprio come stabilito nel protocollo dell'operazione. Mi allontanai e voltandomi vidi che anche il gestore del night era uscito, forse per buttare delle bottiglie vuote. La pistola luccicava nell'immondizia, lui la recuperò incurante del cadavere che avevo lasciato a terra e la maneggiò con lo stesso sguardo da psicopatico che aveva dietro il bancone. Bofonchiò poi qualcosa sui “topi di fogna”! Il lavoro era stato eseguito in maniera pulita e nei tempi previsti: alla base sarebbero stati soddisfatti, come sempre del resto. Un vento gelido penetrava nelle ossa e disegnava per terra tappeti ocra con le foglie accartocciate. Mi strinsi nel cappotto e sollevai il colletto. Tutte le strade erano agghindate a festa. La Dealey Plaza era piena di striscioni. Il giorno dopo sarebbe arrivato un importante personaggio politico, un certo Jack, o forse John... detto JFK. Sapevo che la mia missione era in qualche modo legata a lui, ma non feci domande ai superiori. Era proibito. Diedi solo un ultimo sguardo alla bandiera americana, poi voltai l'angolo, mi infilai nella capsula e nessuno mai seppe che ero esistito.
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