| La ragazza della segreteria universitaria mi ha guardato a lungo, con tanto d’occhi. Peccato, era davvero gnocca. Lo so, me lo dicono tutti che ho perso la ragione, che fare l’Erasmus sul Terzo Mondo è un suicidio. Ma io parto. Adesso ho i moduli, i permessi e persino la borsa di studio per pagarmi il viaggio. “Non è mai tornato nessuno”, è il ritornello che sento. Eppure è un viaggio sicuro, non ci sono buchi neri, meteoriti, tempeste magnetiche, niente. Solo un piccolo tratto nella Nebulosa del Non, ma non è davvero rischiosa. Le navi non si sono mai disintegrate: non c’è traccia di relitti spaziali. Quindi se un mistero c’è, è là. Vivo sul pianeta Posso. “Tu Puoi” recita il motto. Io però comincio a pensare che posso voglia dire raffermo, stantio. Sono solo io a non starci più dentro? Sto cercando qualcosa, non so cosa, che qui non c’è. Forse solo una semplice ragione d’essere. Abbiamo tre satelliti: tre mondi. Il primo, T-Mostro, è esteticamente impeccabile. Per poterci abitare devi essere non meno che perfetto, non puoi neanche schiacciarti un brufolo. Appunto: mostruoso. Il secondo, Si-A, è il regno dei ricchi, la Portofino dello spazio. Per farti entrare controllano il reddito. Il mio è pari a zero. Il Terzo Mondo, Si-E, è l’ignoto. Grande, molto bello, il più distante da Posso, quasi voglia “girare al largo”. Romanzi e miti favolosi sono stati scritti su Si-E, ma nessuno può raccontare di esserci stato: i pochi che vanno non tornano, e il mistero lievita. Io parto.
Il giorno dopo sono sulla nave col mio zaino. Un volo di 16 ore fino a Si-A da dove poi salperò con una navetta individuale verso Si-E. Altre 48 ore. Il viaggio è tranquillo, il cielo dominato da Posso non è un gran vedere. Al porto di Si-A esaminano i miei documenti e mi scortano al decollo per Si-E senza farmi neanche sdoganare. Preparano la navicella e impostano rotta e count-down. Ed eccomi tra le stelle. Si allontana Posso e si apre il cielo. Finalmente intravedo il leggendario Terzo Mondo. Entrata nella Nebulosa del Non la nave inizia a ruotare vorticosamente su se stessa, si spalanca la stiva e perdo il bagaglio. Urlo. Poi di colpo la calma. E la bellezza: dall’oblò posso distinguere fiumi, mari, montagne innevate, grandi pianure e vaste foreste. L’atterraggio è liscio. L’aria è limpida, buona, il panorama è mozzafiato su vallate verdi coltivate a perdita d’occhio e al cancello del piccolo porto c’è una bicicletta con scritto “Grande! Ce l’hai fatta”.
La settimana successiva è la più bella della mia vita. Sono accolto, vivo con la natura e con tanta gente amica, semplice, generosa e felice. Ora sto tornando al porto. -Puoi tornare indietro, o puoi impostare la nave sull’autodistruzione e restare qui. Ma devi liberare la pista- mi ha detto il capo del villaggio. Fatto. Ho inviato la nave a distruggersi in mare, senza ripensamenti. Non faccio in tempo a riprendere la bici che atterra una navetta. Scende la ragazza della segreteria. Ovvio, senza bagaglio. -… -Mi porti in canna?- sorride.
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